🟠 Da Dover a Calais
Domani si vota in Francia, giovedì nel Regno Unito e il 7 luglio di nuovo in Francia: breve guida elettorale dal confine
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Questo sabato tracciamo un itinerario che congiunge Francia e Regno Unito, dove nei prossimi giorni si terranno delle elezioni che potrebbero cambiare per sempre il volto di questi paesi.
I conservatori britannici potrebbero perdere il potere dopo un lungo dominio, con il Partito laburista pronto a celebrare una vittoria straripante nel voto del 4 luglio; in Francia, tutto pare suggerire un successo del Rassemblement National di Marine Le Pen, che per la prima volta porterebbe l’estrema destra al governo, mentre il presidente Emmanuel Macron sembra in netta difficoltà dopo aver convocato le elezioni legislative in doppio turno per il 30 giugno e il 7 luglio.
Per raccontare al meglio questi appuntamenti elettorali, oggi partiamo per un viaggio con due destinazioni principali, strettamente collegate tra loro: la città portuale britannica di Dover e quella francese di Calais.
Cominciamo 🔽
Da Dover a Calais
Dover e Calais sono sempre state la stessa città, o quasi. Sono separate dallo stretto di Dover o passo di Calais, ovvero il punto del canale della Manica che costituisce la distanza più breve tra l'Europa continentale e la Gran Bretagna e tra la Francia e il Regno Unito. Circa trenta chilometri separano le due sponde.
Quando il cielo è limpido, da entrambe le estremità è possibile vedere a occhio nudo cosa c’è dall’altra parte, con la vista delle White Cliffs di Dover, le famose scogliere che si affacciano sulla Manica, così come le luci lungo le coste durante la notte, come nel poema Dover Beach di Matthew Arnold o nella canzone dei Blur Clover Over Dover.
Calais ha anche trascorso più di duecento anni sotto il dominio britannico, un aspetto che si respira nelle vie del centro città. All'interno del grandioso municipio locale, una finestra in vetro colorato raffigura la riconquista francese di Calais dagli inglesi nel 1558.
Le due città sono gemellate dal 1973 e si sostengono reciprocamente in occasioni civiche e altri eventi importanti: c’è un regolare programma di visite per eventi culturali e di mercato, al fine di promuovere lo sviluppo del turismo, dei legami culturali, «dell'amicizia e della comprensione reciproca», come recitano i documenti ufficiali.
Il passaggio tra le due sponde è così permanente che Google Maps include il percorso nella topografia della regione, rappresentato da sottili linee tratteggiate che collegano una costa all'altra. In questi anni, però, la posizione di Dover all'estremità meridionale del Regno Unito l'ha collocata al centro del dibattito sul futuro del paese nell'Unione europea, prima e dopo la Brexit.
Quando Londra era ancora un membro dell’Ue, si poteva dire che Dover era Calais, e che Calais era Dover. Ora i due poli sono più lontani, ma vivono le stesse inquietudini.
La rotta migratoria
Dover e Calais sono forse l’emblema di cosa significa vivere al confine, in un certo senso in maniera simile (ma meno bellicosa) a quello che avevamo visto per lo stretto di Taiwan, dove è possibile vedere cosa c’è dall’altra parte nonostante gli ostacoli politici rendano le distanze incolmabili.
Nell’ultimo decennio, le due sponde hanno vissuto sulle montagne russe, tra la Brexit e il grande dossier dell’immigrazione, un tema centrale per le opinioni pubbliche europee, con uomini, donne e bambini che hanno cercato di attraversare il canale della Manica.
Dover è un luogo storico per le rotte migratorie: fino al 2015 ospitava un Centro per la rimozione dell’immigrazione, precedentemente noto come la Prigione di Dover, un hub di detenzione per migranti situato nella storica cittadella fortificata di Western Heights.
Per essere una località con soli trentamila residenti, Dover conserva un grande impatto nella cultura britannica: le sue famose scogliere bianche sono un simbolo della prima linea di difesa del paese.
Oggi però questo passato appare in contraddizione con l’aspetto della città stessa, una delle più povere dell'intera contea sudorientale del Kent. Le strade principali della città sono in gran parte deserte, popolate da gabbiani e incorniciate dalle insegne malconce dei negozi che hanno chiuso in questi anni. I suoni incessanti dei camion che transitano dal porto sono la colonna sonora di ciò che rimane.
Un porto dove sono arrivate dal 2020 in poi oltre 120mila persone che hanno attraversato illegalmente la Manica su dei barchini, nonostante i proclami anti-immigrazione dei Tories al governo.
Non sorprende, quindi, che alle prossime elezioni il collegio di Dover (come tanti altri nel paese) passerà dai conservatori al Labour. L’immigrazione ha solo aumentato il senso di delusione e tradimento della classe operaia di Dover e della vicina città di Deal.
Che si tratti del fallimento nel controllo dei confini del paese, della mancanza di crescita economica post-Brexit, o dello stato precario dei servizi pubblici della nazione, molte persone si sentono tradite dai conservatori e dalle loro promesse non mantenute, in un'area che ha votato compattamente per il Leave nel 2016.
Risultato segnato?
Non è un caso che il leader laburista Keir Starmer, con ogni probabilità il prossimo primo ministro britannico, abbia scelto Dover per lanciare il piano del suo partito per pattugliare le coste e bloccare l’immigrazione.
Il tema migratorio è stato uno degli aspetti centrali di questa campagna elettorale, insieme alle difficoltà del sistema sanitario nazionale e alla crisi abitativa. I britannici hanno chiesto risposte a Starmer, al primo ministro uscente Rishi Sunak e a tutti gli altri candidati.
Il Labour è arrivato all’inizio della campagna con un vantaggio molto solido sui conservatori (che sembrano aver perso la fiducia del paese), e da allora Starmer non ha fatto altro che consolidare questo primato, mostrandosi molto rassicurante verso l’elettorato. Dall’altro lato Sunak ha collezionato gaffes e passi falsi, preso dalla smania di rimonta.
Il risultato è che con ogni probabilità i laburisti otterranno una vittoria storica giovedì prossimo, mentre i Tories dovranno ricostruire quasi da zero il loro partito, e durante queste elezioni (e probabilmente anche dopo) se la vedranno con Nigel Farage, l’ex leader dello Ukip, l’uomo che ha portato il Regno Unito fuori dall’Europa, e il suo partito sovranista Reform Uk.
La sponda francese
Anche a Calais c’è bagarre in questi giorni, per la precisione domani: rispetto a Dover, qui si è votato per l’ultima volta meno di un mese fa, quando nel dipartimento del Pas-de-Calais ha trionfato nettamente il Rassemblement National, con le altre liste molto distanti.
Qui i sovranisti hanno guadagnato sempre più terreno negli ultimi dieci anni, un po’ come nel resto del paese, nonostante questa regione operaia del nord della Francia sia tradizionalmente legata al Partito socialista.
L’onda lepenista ha gradualmente conquistato il Pas-de-Calais e non sembra indebolirsi: alle ultime elezioni europee il partito ha conquistato circa la metà degli elettori, pari al 47,7%, con quasi dieci punti percentuali in più rispetto al 2019.
A trainare la crescita nazionale di Marine Le Pen ci sono state negli anni le sue posizioni inflessibili sui migranti e da queste parti, come nel caso di Dover, l’immigrazione è qualcosa che i residenti hanno toccato con mano: nella memoria collettiva è rimasto impresso il periodo in cui a Calais c’era la «giungla», l’accampamento di rifugiati e migranti in uso da gennaio 2015 ad ottobre 2016.
C’erano state altre giungle negli anni precedenti, ma questo particolare campo aveva attirato l'attenzione dei media globali durante il picco della crisi migratoria europea nel 2015, quando la sua popolazione era cresciuta rapidamente. I migranti rimanevano nella giungla mentre cercavano di entrare in Regno Unito o mentre attendevano che venissero processate le loro domande d'asilo in Francia.
Oggi nell’area di Calais ci si può comunque imbattere in baraccopoli improvvisate, formate da bancali di legno, o in persone che si rifugiano nei parcheggi recintati nelle vicinanze, dove sono posteggiati i camion diretti verso il Regno Unito. Secondo le stime ci sarebbero centinaia di migranti che circolano in questa zona, tra strutture fatiscenti e accampamenti improvvisati.
Il tema dell’immigrazione è stato anche, in un certo senso, la miccia che ha innescato la crisi di Macron: negli ultimi mesi del 2023 l’approvazione di una contestata legge sull’immigrazione ha sgretolato la sua coalizione in parlamento.
Il provvedimento è stato considerato troppo sbilanciato a destra da molti legislatori centristi e dopo giorni ad alta tensione in parlamento, il governo Macron ha perso il controllo del provvedimento ed è stato costretto ad acconsentire alle crescenti richieste dei conservatori, di fatto indebolendo il suo mandato.
L’azzardo di Macron
La debolezza politica di Macron è anche il principale motivo per cui i francesi domani andranno a votare (oltre al successo del Rassemblement alle europee): trovandosi di fronte a una situazione parlamentare comunque difficile, il presidente ha deciso di andare all-in e giocarsi tutto alle elezioni legislative.
(Quelle di domani sono elezioni valide per l’Assemblea nazionale, il parlamento francese; la carica di presidente non è coinvolta e Macron può restare al potere fino al 2027, ma il primo ministro potrebbe cambiare).
È un azzardo che potrebbe trascinare il paese verso ulteriore instabilità e portare alla cosiddetta «coabitazione», il contesto politico in cui il presidente e il primo ministro appartengono a schieramenti politici diversi.
Per ora, la scelta di Macron non sembra aver pagato: i centristi sono sembrati piuttosto marginali in questa campagna elettorale, schiacciati tra lo strapotere di Le Pen e del suo frontrunner Jordan Bardella e la coalizione di centrosinistra del Nuovo fronte popolare.
Allo stesso tempo, secondo molti Macron ha messo in conto di poter perdere queste elezioni, con l’obiettivo di ingabbiare Le Pen in uno schema politico bloccato, sabotare la sua agenda di governo e danneggiare i suoi consensi.
L’unica cosa certa è che, nel Regno Unito come in Francia, chi finora ha governato adesso è molto in difficoltà.
Per approfondire:
Per saperne di più sulle elezioni in Regno Unito e in Francia, su Linkiesta ho avuto modo di raccontare entrambi gli appuntamenti elettorali: qui un pezzo su Starmer, qui uno su Nigel Farage, qui un’analisi sulla probabile vittoria laburista e qui il racconto del primo confronto tv tra Starmer e Sunak. Per quanto riguarda la Francia, il mio commento sull’azzardo di Macron e sul greenwashing nel programma del Rassemblement National.
Per i fan degli explainer, le guide al voto francese di Politico e Bbc e quella del Guardian per il Regno Unito.