🟠 Omaggio alla Catalogna
Un viaggio nella storia catalana attraverso la sua resistenza culturale e politica, con un occhio a quanto succede oggi
Ciao! Rieccoci su Borders 🌍
Oggi sono molto felice di ospitare in questo episodio un’amica di Borders e una collega super competente: Roberta Cavaglià, una giornalista italiana che vive a Barcellona e ogni settimana racconta Spagna e Portogallo nella sua newsletter Ibérica (iscrizione caldamente consigliata!).
Questo sabato infatti voleremo in Catalogna per raccontare una storia di resistenza fatta di libri, persone e cultura. A seguire, ti racconto la mia chiacchierata con Roberta, a cui ho fatto un po’ di domande sul futuro politico della Generalitat e dei suoi rappresentanti.
Cominciamo? 🔽
Omaggio alla Catalogna
Omaggio alla Catalogna di George Orwell è forse il libro più famoso legato a questa regione, un memoir che racconta la guerra civile spagnola e descrive «le bandiere rosse a Barcellona, i treni spelacchiati pieni di soldati malandati che strisciavano verso il fronte, le grigie città in guerra più avanti, le trincee fangose e ghiacciate sulle montagne».
Nelle sue pagine, Orwell descrive il clima culturale che si respirava in Catalogna all'epoca, comprese le rivolte che si verificarono a Barcellona e in altre parti della regione nel maggio del 1937.
Anche negli anni successivi, Barcellona rimase la capitale dell’antifranchismo, trasformando le peculiarità e i caratteri distintivi della sua cultura in armi affilate con cui combattere l’egemonia franchista e rivendicare un’alterità rispetto al controllo di Madrid.
La resistenza catalana è passata anche dai libri, non solo da quello di Orwell, e da un milieu culturale particolarmente vivo. A partire dagli anni Sessanta, Barcellona si è imposta come centro di riferimento per il mercato editoriale spagnolo e sudamericano, con la nascita di case editrici estremamente innovative.
La posizione geografica della Catalogna ha certamente favorito questa operazione. Al confine con i Pirenei, Barcellona era la città più esposta alle influenze culturali parigine e, più in generale, francesi; una generazione di intellettuali catalani si formò leggendo Jean-Paul Sartre e Albert Camus.
Editori come Anagrama e Tusquets, che provenivano dalla sinistra antiautoritaria, si affermarono pubblicando opere di controcultura, new journalism e narrativa anticonvenzionale.
Il fondatore di Anagrama Jorge Herralde è il decano degli editori spagnoli, un alfiere della lotta al franchismo, e ha contribuito a forgiare l’identità catalana. Anagrama fu la casa editrice più punita dalla censura di Franco, con decine di libri banditi dalle autorità. Ma è anche uno di quei progetti che ha sostenuto la nascita dell’editoria indipendente in Catalogna.
Varie donne guidarono questo cambiamento: Beatriz de Moura, figlia di un diplomatico brasiliano, a trent’anni fondò la casa editrice Tusquets, mentre Rosa Regàs fondò La Gaia Ciencia. Oriol Regàs, suo fratello, aveva aperto a Barcellona il Bocaccio, un locale che nelle sue sale ospitava il meglio della resistenza antifranchista.
Carlos Barral invece portò la modernità e lo sperimentalismo con la sua casa editrice Seix Barral, lavorando con Mario Vargas Llosa, Carlos Fuentes, Guillermo Cabrera Infante e altri, ma soprattutto con la leggendaria agente letteraria Carmen Balcells, la donna che in un certo senso «ha inventato» la letteratura sudamericana nel Novecento.
Oggi se la sarebbero cavata con un carosello su Instagram ma invece all’epoca le librerie impegnate nella causa investirono sulle voci più radicali, per promuovere il cambiamento politico e sociale in corso.
Una terra in agitazione costante
La combinazione di posizione geografica, fermento culturale e spinte indipendentiste ha prodotto, soprattutto nell’era post-franchista, il terreno perfetto per le rivendicazioni separatiste catalane rispetto al governo di Madrid.
«L’aspetto culturale è un pezzo fondamentale del percorso indipendentista catalano», mi spiega Roberta Cavaglià da Barcellona. «L'industria dell’intrattenimento e il mercato editoriale in lingua catalana sono estremamente vivi: c’è una base di parlanti piuttosto piccola ma molto agguerrita».
La lingua catalana in sé è stata a lungo un affare politico. Sotto la dittatura franchista il catalano è stato escluso dal sistema educativo e da ogni altro uso ufficiale e pubblico, compreso il divieto di dare ai bambini nomi catalani.
Nel tentativo di invertire la tendenza, dopo la caduta del regime le istituzioni hanno intrapreso una politica linguistica a lungo termine per tutelare l'uso del catalano. Il governo della Generalitat de Catalunya oggi offre anche corsi gratuiti per apprendere la lingua e le comunicazioni ufficiali, i documenti, le pubblicità sono tutte in catalano.
Dall’idioma locale alla bandiera, sino alla rivalità calcistica tra Barcellona e Real Madrid, questi tratti identitari sono esplosi e si possono toccare con mano soprattutto nei paesini più piccoli che puntellano la regione, dove il sentimento indipendentista sembra non essersi mai sopito.
La Catalogna comprende infatti le province di Barcellona, Gerona, Lérida e Tarragona e occupa la parte nord-orientale della penisola Iberica. È una zona dove si incontrano le calde coste mediterranee e i rilievi dei Pirenei, che confina con la Francia e il principato di Andorra.
Ma questa entità geografica potrebbe diventare un giorno uno Stato in piena regola? Questa domanda ha affollato gli editoriali dei quotidiani europei nei mesi a cavallo tra il 2017 e il 2018, tra il referendum indetto dai separatisti catalani e il conseguente scontro con il governo centrale di Madrid.
«Il tema è uscito dal racconto dei media internazionali nel corso degli anni, ma resta una questione centrale per il Paese», mi racconta Roberta. «In questi mesi è tornato alla ribalta e forse non se n'è mai andato».
Gli indipendentisti catalani, capeggiati dall’ingombrante figura dell’esule Carles Puigdemont, il leader del partito Junts per Catalunya (che forse ricorderai per i meme sul suo taglio di capelli), sono tornati sotto i riflettori negli ultimi mesi, soprattutto per via delle difficoltà che il premier socialista Pedro Sanchez ha incontrato nella formazione di un governo.
«All’indomani di una campagna elettorale lampo e di un pareggio tecnico alle urne, i voti di Junts si sono rivelati fondamentali per un nuovo mandato di Sanchez», aggiunge Roberta.
Per riuscire a strappare il sostegno di queste forze, Sanchez ha dovuto trattare un’amnistia per gli attivisti catalani e per le persone coinvolte nel referendum dell’ottobre 2017, un tema che ha alzato il cosiddetto «polverone» nella politica spagnola, in particolare tra le frange più conservatrici.
Il 7 marzo è prevista la scadenza per elaborare un nuovo progetto di legge sull’amnistia e presentarlo al Congresso, e secondo Roberta Cavaglià «sarà un test fondamentale per il governo, che in questo periodo è particolarmente sotto pressione, anche per uno scandalo di corruzione».
Junts potrebbe addirittura non accontentarsi e cercare di alzare la posta in palio, considerando il suo peso politico in questa fase. Un nuovo referendum indipendentista potrebbe essere un’opzione realistica, come suggerito da alcuni esponenti catalani?
«Difficile fare previsioni», mi dice Roberta, «ma c’è da sottolineare come Sanchez abbia sempre chiuso a questa ipotesi. Inoltre, l’approccio dei socialisti è stato votato più al dialogo e alla pace sociale, rispetto alla polarizzazione dei popolari di Rajoy: oggi si respira nel complesso un clima di distensione».
Per approfondire:
Un articolo sull’indagine Ue riguardo ai legami tra gli indipendentisti catalani e la Russia, di Roberta Cavaglià;
Domande e risposte sull’amnistia per i separatisti, nell’edizione inglese di El Pais;
Altro che indipendenza, in Catalogna ora si parla di immigrazione, su Politico;
Due Catalogne, il documentario Netflix sulle complessità politiche della regione.
Un libro 📘
Raphael Minder, The Struggle for Catalonia: Rebel Politics in Spain.
Grazie ancora per l'intervista, è stato un piacere :)