🔴🔵 Usa 2024 - Radici e rivolte
In Michigan, la città di Dearborn e la comunità arabo-americana locale sono un fattore di queste elezioni
Ciao, rieccoci su Borders 🌍
Come promesso, oggi ci occupiamo delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, stavolta con una prospettiva diversa rispetto alla scorsa puntata, per capire come un dossier geopolitico possa diventare anche un caso elettorale.
In questa puntata i confini non sono rintracciabili su una cartina, sono «astratti» ma estremamente concreti: la Striscia di Gaza non è mai stata così vicina al Michigan, uno degli swing states dove i sondaggi indicano un testa a testa all’ultimo voto tra la candidata democratica Kamala Harris e il repubblicano Donald Trump.
Ma cosa c’entra il Medio Oriente? Cominciamo 🔽
Radici e rivolte
Nel cuore del Michigan, tra le strade di Detroit e i suoi sobborghi, si intrecciano le storie di una comunità vibrante. Persone provenienti da Libano, Palestina, Yemen, Iraq, Afghanistan e Siria si uniscono attorno a una causa comune: la lotta per il popolo palestinese. Dearborn, Michigan, è un luogo dove la vita degli arabo-americani pulsa con intensità.
Non è solo un punto sulla mappa, ma un crocevia di esperienze. Il Museo nazionale arabo-americano sorge come un faro, circondato da panetterie e ristoranti che offrono il profumo delle spezie aromatiche e del pane appena sfornato. Qui, oltre il 55% dei 110.000 abitanti si identifica come di origine mediorientale o nordafricana, secondo il censimento del 2023.
Per comprendere Dearborn oggi, però, è necessario guardare al passato. La sua crescita è stata fortemente influenzata da Henry Ford, il pioniere dell’automobile, che nel 1917 avviò la costruzione del suo celebre complesso industriale. Sudamericani, europei e arabi si stabilirono nel quartiere Southend, attratti dalle opportunità di lavoro. Vivere accanto al più grande complesso industriale del mondo non dev’essere stato semplice, ma per gli arabo-americani il Southend rappresentava un rifugio, un punto di partenza per riunire famiglie allargate.
Negli anni Sessanta, con l’allentamento delle leggi sull’immigrazione, la comunità si ampliò, accogliendo persone in fuga dalla guerra civile nello Yemen e dall’occupazione israeliana dei territori palestinesi. La guerra civile libanese che scoppiò nel 1975 portò altri rifugiati in città e negli anni Ottanta arabi di varie generazioni cominciarono a popolare altri quartieri di East Dearborn, trovandosi a fronteggiare discriminazioni nel mercato immobiliare e nelle scuole pubbliche, spesso impreparate a gestire gli studenti che parlavano inglese come seconda lingua.
In cerca di rappresentanza
Le tensioni esplosero nel 1985, quando il repubblicano Michael Guido vinse le elezioni comunali, sfruttando la narrazione del «problema arabo» per dividere la classe lavoratrice bianca dai nuovi immigrati. La risposta della comunità araba non si fece attendere: gli attivisti chiesero maggiori servizi per East Dearborn e cominciarono a candidarsi per cariche pubbliche. Nel 1990, Suzanne Sareini diventò la prima arabo-americana eletta al Consiglio comunale.
Ci vollero altri vent’anni perché, con gli arabo-americani diventati maggioranza, nuovi candidati potessero unirsi a Sareini. In ogni caso, la comunità araba continuava a crescere e diversificarsi e popolazioni di rifugiati iracheni e siriani iniziarono a stabilirsi a Dearborn tra gli anni Novanta e il 2010, portando i traumi delle guerre nei loro paesi.
Poi, nel 2018, l’elezione della democratica Rashida Tlaib alla Camera ha segnato uno snodo fondamentale: prima donna palestinese-americana eletta al Congresso, Tlaib ha rappresentato il distretto di Dearborn e una base politica progressista in crescita tra gli arabo-americani. Figlia di una grande famiglia palestinese, è cresciuta in queste aree, iniziando come attivista green in una terra contaminata dall’inquinamento industriale.
Tre anni dopo, il democratico Abdullah Hammoud è diventato il primo sindaco arabo-americano di Dearborn. Anche la sua elezione ha portato un cambiamento significativo, un riconoscimento del potere e della presenza crescente della comunità araba. Nato da una famiglia libanese, con un padre camionista e una madre imprenditrice, ha sempre sostenuto il senatore democratico Bernie Sanders, noto per essere all’estrema sinistra del partito.
La voce della comunità si è fatta sentire anche attraverso un settimanale locale, The Arab American News, un tempo sostenitore dei democratici, che ora esprime una netta disillusione verso il presidente uscente Joe Biden. Afferrare una copia, sedersi in poltrona, ordinare un ogdat, un delizioso stufato yemenita, o una zuppa di lenticchie, sfogliare le pagine di notizie locali e internazionali, è stato un atto che ha racchiuso per decenni la vita di una città che non ha mai smesso mai di cercare la sua identità. Negli ultimi quarant’anni, questi cittadini hanno trovato nel Michigan una nuova casa.
Lo scorso anno, all'inizio di novembre, un mese dopo lo scoppio del conflitto nella Striscia di Gaza, l’angoscia ha preso piede tra le famiglie palestinesi-americane. Le pagine di The Arab American News sono esplose al grido di «Bisogna abbandonare Biden». Qui, la rabbia è diventata un'arma elettorale, a un anno dalle presidenziali. Osama Siblani, fondatore del settimanale, ha lanciato un appello a non votare per i democratici, anche se questo significa mettere a rischio la vittoria contro Trump.
Con la sua folta capigliatura bianca, Siblani è il prodotto della sua storia, quella di un giovane che, scappato da Beirut nel 1976 per studiare negli Stati Uniti, ha ritrovato un senso di appartenenza in una terra lontana. Quest’anno, il giornale ha festeggiato il suo quarantesimo anniversario: «L’ho fondato nel 1984 per lo stesso motivo di cui stiamo parlando oggi: Israele», dice Siblani nelle interviste.
La sfiducia di un popolo
A Dearborn, l’aria sembra densa di rassegnazione nei confronti della guerra in Medio Oriente e del ruolo che hanno giocato i leader politici americani, una sensazione di apatia che si estende anche verso le elezioni presidenziali imminenti. Mentre il numero di morti continua a crescere a Gaza, senza alcun segno di una soluzione politica all'orizzonte, il clima nella più grande comunità arabo-americana del paese si è trasformato in modo decisivo negli ultimi mesi e nelle ultime settimane.
Durante le proteste contro l’assalto di Israele a Gaza, le strade di Dearborn erano state animate da un’energia fervente e da una rabbia palpabile, in particolare durante le primarie democratiche di inizio anno. Oggi, invece, stando a quanto si legge e si vede, c’è una rassegnazione carica di frustrazione nei confronti della leadership politica. La guerra in Medio Oriente potrebbe aver scosso la base progressista americana in modi che non comprendiamo ancora pienamente: la maggior parte degli elettori non elenca la guerra come principale preoccupazione, ma questo conflitto sembra contribuire alla percezione di un mondo in rovina sotto la supervisione dei democratici.
Quando Biden ha sconfitto Donald Trump nella corsa elettorale di quattro anni fa, la partecipazione degli elettori a Dearborn è aumentata di circa il dieci percento rispetto alle elezioni precedenti. Oggi quell’entusiasmo sembra essersi dissolto. Durante le primarie del partito democratico a febbraio, a Dearborn 6.432 elettori hanno scelto di dichiararsi «non impegnati», «uncommitted», in segno di protesta per il sostegno di Biden a Israele.
In totale, centomila persone in Michigan hanno fatto lo stesso. Un sondaggio del Pew Research Center di maggio ha rivelato che sia Biden che Trump erano i candidati presidenziali meno graditi degli ultimi trent’anni. Durante l'amministrazione Trump, le retate degli agenti dell'Immigration and Customs Enforcement (ICE), l’agenzia statunitense responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell'immigrazione, hanno seminato il terrore nel cuore della comunità.
Sebbene Biden non sia più il candidato democratico, molti degli elettori arabo-americani non si stanno schierando nemmeno con Kamala Harris. Una parte di loro potrebbe astenersi o considerare alternative. Questo sentimento si è manifestato chiaramente durante un evento della campagna di Harris, quando quindicimila persone si sono radunate a un comizio all’aeroporto di Detroit. Durante il suo discorso, due manifestanti hanno iniziato a cantare: «Kamala, Kamala, non puoi nasconderti! Non voteremo per il genocidio!». Harris ha perso la pazienza, ribattendo: «Sapete una cosa? Se volete che Donald Trump vinca, ditelo pure. Altrimenti, sto parlando».
Solo pochi stati sono considerati in bilico e il Michigan è uno di questi. Per mesi, Biden è stato in svantaggio rispetto a Trump nei sondaggi, ma da quando Kamala Harris è diventata formalmente la candidata democratica, ad agosto, ha invertito il trend e mantenuto un piccolo ma fragile vantaggio. I margini sono storicamente sottili in questa zona: nel 2020 Biden ha vinto il Michigan per centocinquantamila voti; nel 2016, Trump ha vinto per circa diecimila.
Negli ultimi cicli elettorali, i democratici hanno perso supporto tra i bianchi della classe lavoratrice, come è noto, e tra gli ispanici meno istruiti; c'è anche crescente preoccupazione per il sostegno sempre più incerto delle comunità asiatiche e afroamericane. Stando ai sondaggi, oggi il vantaggio di Harris è esiguo e sarebbe saggio non sottovalutare gli arabo-americani.
Durante un incontro con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu qualche tempo fa, Harris ha parlato con fermezza, evidenziando la sofferenza dei palestinesi a Gaza ed esprimendo supporto per la fine della guerra. Tuttavia, per gli arabo-americani, il suo fallimento nel promuovere realmente il cambiamento la rende complice delle politiche di Biden. «Non vogliamo solo belle parole, perché la vita dei palestinesi non è qualcosa da prendere alla leggera», dicono gli attivisti.
Per approfondire:
Su Wired sto curando una guida al voto negli Stati Uniti: questa settimana è uscita la prima puntata, che parte dal sistema elettorale e dalle sue implicazioni;
Come il conflitto in Medio Oriente potrebbe influenzare le elezioni statunitensi e perché gli arabo-americani negli Stati in bilico potrebbero votare per Trump, su The Conversation;
«Non ho molte speranze per una presidenza Harris», ha detto lo scrittore Ta-Nehisi Coates parlando del suo nuovo libro, di Israele e di ciò che i media sbagliano sulla Palestina (Guardian);
Che cosa conta per gli elettori di ciascuno degli Stati in bilico? Una serie di podcast di Vox;
«Voteranno contro Harris»: gli arabo-americani del Michigan abbandonano i democratici (Guardian);
Un profilo del Michigan come Stato in bilico, curato dalla Bbc.