🔴🔵 Usa 2024 - Le città sorelle
El Paso e Ciudad Juárez sono dei luoghi simbolo al confine tra Usa e Messico, da anni al centro della politica americana a causa dell'immigrazione
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«Settembre è un mese di merda per ricominciare» e allora Borders non poteva che riprendere a ottobre, con due puntate al mese, ogni due settimane. Sono molto entusiasta di tornare al lavoro su questa newsletter e ne approfitto per dare il benvenuto a chi si è iscritto in questo periodo di pausa estiva.
Per il mese di ottobre, le due puntate saranno dedicate alle elezioni negli Stati Uniti, che analizzeremo sotto vari aspetti: oggi partiremo dal confine con il Messico per parlare di immigrazione, uno dei temi più rilevanti di questa campagna elettorale.
Cominciamo 🔽
Le città sorelle
Appoggiata dolcemente contro le montagne Franklin da un lato e confinante con il Messico dall’altro, El Paso, Texas, è, in tanti sensi, la città di confine per eccellenza. Appena oltre il Rio Grande c’è la sua gemella, Ciudad Juárez, Messico. A volte, le due città sembrano fondersi in un’unica metropoli distesa, separate soltanto da un confine che pare tracciato senza un vero senso.
In spagnolo si dice «fronteriza», ovvero «area di confine», che ricorda tanto la nostra «frontiera» italiana: per tanti, a Ciudad Juárez ed El Paso, questa parola è un modo di vivere, un’identità che li lega a entrambi i lati del confine, tenendoli insieme. Per le persone di Juárez ed El Paso la fronteriza è l’etichetta per chi è cresciuto tra i due mondi, oscillando avanti e indietro, con una quotidianità fatta di attraversamenti costanti.
Un murale nel Segundo Barrio di El Paso, quartiere storico carico di storie e segreti, intitolato «Sister cities/Ciudades Hermanas», realizzato da Ramon e Christian Cardenas, rende giustizia a questa relazione. Due donne, dipinte di tre quarti, con i capelli intrecciati tra loro, simboleggiano la simbiosi perfetta tra le due città. Juárez ed El Paso sono città gemelle, legate insieme dai ponti che si snodano sul Rio Grande. Per gran parte della loro storia, la gente del posto le ha viste come un’unica metropoli: fino al 1888, hanno condiviso pure lo stesso nome.
Eppure, oggi, El Paso è una delle città più sicure degli Stati Uniti e sfoggia una tranquillità che stride con la storia travagliata della sua gemella oltre il confine. Per anni, i benestanti di Juárez hanno trovato rifugio negli Stati Uniti, costruendo una sorta di seconda vita dorata. Alcuni di loro hanno acquistato case sul lato di El Paso, dove trascorrono notti tranquille, mentre i loro figli frequentano le scuole americane.
La storia di Ciudad Juárez invece è fatta soprattutto di violenza: tra il 2007 e il 2012, la città è sprofondata in una spirale di caos senza precedenti e nel 2010 era conosciuta come «la città più pericolosa del mondo» (oggi è la decima al mondo, stando ai rating). A catturare l’attenzione dei media, però, non è stato soltanto il picco di violenza a Juárez, ma la crisi migratoria che da molto tempo coinvolge queste zone.
Nel settembre 2023, il sindaco di El Paso, Oscar Leeser, ha dichiarato che la città era «a un punto di rottura». Come un riflettore che illumina una scena al momento perfetto, l’attenzione su El Paso nell’ultimo anno è arrivata in un momento politicamente cruciale. I funzionari repubblicani del Texas hanno accusato ripetutamente l’amministrazione del presidente Joe Biden di non riuscire a mettere in sicurezza il confine, trasformando la questione in una guerra di giurisdizione e in un campo di battaglia politico.
Con le elezioni presidenziali del 2024 alle porte, l’immigrazione è tra i principali temi in agenda, una questione tanto intricata quanto importante per entrambi i candidati. Secondo un sondaggio Reuters/Ipsos di giugno, l’immigrazione è il terzo problema più sentito dagli elettori americani, dopo l’economia e l’estremismo politico, e gli elettori preferiscono l’approccio del candidato repubblicano Donald Trump sul tema rispetto a quello di Biden.
Rotta migratoria
Dall’ottobre del 2022 all’ottobre del 2023, circa 2,2 milioni di persone hanno attraversato illegalmente il confine settentrionale del Messico. Un nuovo flusso di migranti si è riversato verso il nord, come un fiume impossibile da arginare. Lungo il muro di confine a Ciudad Juárez, migranti e agenti della Guardia nazionale del Texas si sono inseguiti come in un vero e proprio gioco del gatto e del topo, giorno e notte.
Il loro «campo da gioco» è una vasta distesa di sabbia, un paesaggio aspro dove torri di filo spinato si innalzano come muri di un labirinto in cui nessuno vuole trovarsi. Oltre quella distesa c’è il confine ufficiale tra i due Paesi. In piccoli gruppi, i migranti si avvicinano al filo spinato. Coprono le lame con vestiti e scavano velocemente nella sabbia, cercando di aprirsi un varco, sperando di non ferirsi troppo. Le famiglie spesso hanno solo pochi minuti prima che le guardie americane arrivino di corsa, con i piedi puntati sul filo spinato per bloccare ogni passaggio.
Oggi El Paso e Juárez sono due hub regionali per migranti. Dal 2018, il numero dei richiedenti asilo a El Paso è in continua crescita, con arrivi da Ecuador, El Salvador, Haiti, Nicaragua e Cuba, ma soprattutto dal Venezuela: negli ultimi due anni, circa il 70% degli arrivi è stato composto da venezuelani e dal 2013 sette milioni di cittadini sono fuggiti dal Venezuela e dalla sua economia al collasso, inseguendo la promessa di una vita migliore.
L’«invasione» repubblicana
Se c’è una parola che domina la retorica repubblicana sulla questione del confine, è «invasione». Il governatore del Texas, Greg Abbott, l’ha usata in tribunale, nel tentativo di difendere il filo spinato che ha fatto installare illegalmente lungo la frontiera del comune di Eagle Pass. Anche il candidato repubblicano Donald Trump non ha esitato a farne uso durante i suoi comizi elettorali: «È come un’invasione militare. Droga, criminali, membri di gang e terroristi stanno inondando il nostro Paese a livelli record. Stanno prendendo il controllo delle nostre città», ha detto a un evento in Nevada, lo scorso dicembre.
Una parola che evoca immagini vivide, l’idea di un’America sotto assedio da parte di un nemico straniero. I repubblicani insistono sulla necessità di una militarizzazione ulteriore del confine, come se un’«invasione» richiedesse una risposta armata. Parlare di invasione, inoltre, contribuisce a disumanizzare i migranti stessi, molti dei quali fuggono da situazioni difficili e pericolose nei loro Paesi d’origine, in cerca di sicurezza o di una possibilità economica.
Per i repubblicani, è cruciale far apparire le politiche migratorie di Biden (che in realtà non sono nemmeno particolarmente permissive verso i migranti che arrivano al confine) come il preludio al caos assoluto, e far sembrare che il ritorno all’agenda restrittiva dell’ex presidente Donald Trump sia l’unica soluzione.
Tra il 2017 e il 2021, l’amministrazione Trump ha intrapreso azioni senza precedenti per limitare l’ingresso di richiedenti asilo, sia migranti regolari che irregolari. I legislatori e i candidati repubblicani sperano di sfruttare questo dossier per negare ai democratici un secondo mandato alle elezioni di novembre.
Biden aveva promesso una politica migratoria più aperta rispetto a quella del suo predecessore, ma l’afflusso record di migranti al confine meridionale ha messo alla prova questo approccio più accogliente e alcuni democratici hanno sollevato critiche sul suo operato.
A fine gennaio, con un drammatico cambio di rotta, Biden ha proposto nuove misure d’emergenza per chiudere il confine, mentre il Senato cercava di negoziare un disegno di legge bipartisan per la chiusura di gran parte del confine a richiedenti asilo e altri migranti, in caso di aumenti degli ingressi.
Le statistiche confermano questo cambiamento: il numero di «incontri» tra migranti e autorità dell’immigrazione durante i primi quattro mesi di quest’anno è sceso del 40% rispetto agli ultimi quattro mesi dell’anno precedente, sulla scia di questa stretta. Nel mese di luglio, gli attraversamenti illegali del confine tra Stati Uniti e Messico sono scesi a circa un quinto del loro picco.
Le incertezze di Kamala Harris
Anche la candidata democratica Kamala Harris, nelle vesti di vicepresidente, si è trovata a dover affrontare la gigantesca sfida dell’immigrazione. Biden le aveva chiesto di guidare gli sforzi diplomatici per ridurre povertà, violenza e corruzione nei Paesi del triangolo settentrionale dell’America Centrale (Guatemala, Honduras ed El Salvador), per migliorare le condizioni nei Paesi di partenza, nonché di dialogare con il Messico sulla questione.
Il suo coinvolgimento sul tema dell’immigrazione è stato dunque indiretto, ma abbastanza concreto da rappresentare una debolezza alle urne. La crisi del confine ha reso Harris vulnerabile agli occhi di molti americani, soprattutto considerando i numeri in rialzo durante il suo mandato. Un gruppo di elettori Dem, nonostante abbia dichiarato di votare per lei, ha persino detto di preferire l'approccio di Trump alle frontiere e di essersi sentito più sicuro durante il suo mandato.
Oggi Donald Trump cerca di approfittare di questo clima, intensificando i suoi attacchi sulla difficile situazione al confine e sulle responsabilità dei democratici. La campagna di Harris ha cercato di controbattere presentando la sua figura in modo intransigente sull’immigrazione: in particolare, uno spot televisivo ha inquadrato il suo periodo da procuratrice generale della California come quello di una «procuratrice del confine», includendo immagini del muro che divide le due nazioni.
Oggi Kamala Harris sta cercando di trovare un approccio che bilanci gli aspetti securitari e umanitari. Recentemente, ha promesso di investire centinaia di milioni di dollari nel muro lungo il confine meridionale, un progetto che in passato aveva avversato, definendolo «non americano» durante l'amministrazione Trump.
Con il ronzio della campagna repubblicana che spende decine di milioni di dollari per attaccarla sul tema, Harris sta abbracciando una politica sull'immigrazione più rigorosa. Le differenze con Trump restano significative: Harris si oppone alla sua strategia di separazione delle famiglie e ai piani per deportazioni di massa. La verità, però, è che questa svolta intransigente dei democratici sulla politica di frontiera riflette il modo in cui Trump ha spostato il dibattito politico sull’immigrazione negli ultimi dieci anni.
Per approfondire:
Lo scorso anno ho scritto su Rolling Stone Italia di una particolare fantasia di Trump: una guerra in Messico.
Un bel pezzo di Sky TG24 su Ciudad Juárez, la città simbolo della violenza sulle donne.
Come funzionerebbe la promessa di Trump di deportazioni di massa dei migranti? (Bbc).
Gli attraversamenti di migranti sono crollati dopo le misure restrittive di Biden. Ma i democratici si chiedono: a quale prezzo? (Guardian).
La mappa per il controllo del confine texano a Eagle Pass del Washington Post.
L'immigrazione è il tema principale delle elezioni del 2024 nel distretto del New Mexico (Bloomberg).
La vera storia del muro al confine tra Stati Uniti e Messico, in un video di Dw.