L'Italia è una repubblica fondata su Ghali e Dargen?
Cosa ci ha detto questa settimana sul rapporto tra cultura pop e (geo)politica
Ciao! Nuovo appuntamento con Borders 🌍
Come avrai intuito dal titolo, oggi ti propongo una puntata diversa dal solito, pensata per parlare di quello che abbiamo visto in questi giorni a Sanremo e di cosa significa in chiave internazionale (no: non intendo il successo all’estero del Volo).
Penso che possa essere utile partire dall’evento pop per eccellenza per riflettere sulla percezione e sul dibattito riguardo a temi come le frontiere e i conflitti, ad esempio.
Oggi non ci sono due Paesi e un confine ma due personaggi: Ghali e Dargen D’Amico, che hanno portato sul palco spunti e messaggi sulla situazione globale (ho omesso volontariamente la parola politica, ci torniamo più avanti).
Cominciamo 👇
L'Italia è una repubblica fondata su Ghali e Dargen?
Quando ho sentito Casa mia, il pezzo di Ghali, ho subito fatto attenzione alla parola “confine” nel testo: eccoci, ho pensato. Tra l’altro, Ghali è un artista che capita spesso nella mia playlist, non poteva mancare su Borders.
Ma, come fate a dire che qui è tutto normale / Per tracciare un confine / Con linee immaginarie bombardate un ospedale / Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane / Non c’è mai pace.
Questo è il passaggio in cui si parla di confini ed è anche quello che ha attirato l’attenzione, anche sui social, di chi vede nella strofa di Ghali un chiaro riferimento al conflitto in corso a Gaza.
Effettivamente pare così: anche se poste in modo generico, le parole sembrano parlare dei combattimenti nella Striscia che hanno coinvolto in questi mesi anche le strutture ospedaliere. Su Instagram, il rapper ha poi aggiunto: “È necessario prendere una posizione perché il silenzio non suoni come un assenso”.
Ancora non è chiaro se sia stata una cosa pianificata o meno: Ghali ha spiegato che la canzone è stata scritta qualche mese fa, prima dello scoppio del conflitto; il testo sembra colpire a trecentosessanta gradi varie contraddizioni della nostra epoca (come la tecnologia e il suo utilizzo).
Casa mia rappresenta dunque più una chiacchierata tra Ghali e il classico alieno che arriva sulla Terra e non capisce cosa stiano facendo questi curiosi esemplari, vittime delle loro stesse incongruenze; la guerra, intesa in modo ampio, rientra tra queste.
Incongruenze che sono state sollevate anche da Onda alta, il brano di Dargen D’Amico dedicato all’immigrazione e alla complessa gestione del fenomeno da parte dei governi europei. Sul palco, Dargen ha anche lanciato un appello poi diventato virale, in cui tra le altre cose ha dichiarato:
Nel mar Mediterraneo in questo momento ci sono bambini sotto le bombe, senza acqua e cibo e il nostro silenzio è corresponsabilità.
Anche qui: non è ben chiaro a cosa si riferisca Dargen, sembra tutto un po’ generico; i media e i social hanno tradotto queste parole in un riferimento a Gaza, che però rimane tra le righe, non esplicitato del tutto.
Se il Mediterraneo può essere infatti associato anche ai fenomeni migratori, le “bombe” di cui parla Dargen non lasciano molto spazio alle interpretazioni. Il giorno dopo, però, è arrivata la retromarcia del giudice di X Factor: con il suo messaggio non voleva “essere politico”.
Politica e anti-politica
Credo che sia interessante mettere in parallelo la storia di Ghali e quella di Dargen: entrambi hanno lanciato un messaggio che poi è diventato virale e ha guadagnato spazio nel dibattito pubblico. Dargen l’ha fatto forse in modo più “teatrale” ma in ventiquattro ore ha ridimensionato il suo appello, svilendo forse il concetto stesso di agire politico.
Allo stesso tempo, penso che ci siano alcune cose da osservare: la prima è che a differenza di Ghali, che sembra essere arrivato a questo risultato anche un po’ “per caso” (senza assolutamente voler sminuire la sua buona volontà), Dargen ha presentato un progetto coerente per trattare il dossier dell’immigrazione, una piattaforma per coinvolgere in chiave pop il pubblico.
Ne è una conferma l’Edicola Dargen, uno spazio di incontro e confronto organizzato a margine dell’evento, con un palinsesto di eventi dedicati a Onda alta e ai suoi contenuti, in collaborazione con Maura Gancitano e Andrea Colamedici di Tlon.
Questi sforzi forse lasciano un po’ l’amaro in bocca e trasformano in un’occasione sprecata l’affondo antipolitico dell’altra sera, che stride con l’impegno a portare in primo piano temi geografici, storici o anche filosofici.
Quindi ok, Dargen avrà sbagliato a disconoscere il senso politico del suo progetto; ma allo stesso tempo, la domanda forse più inquietante da porsi è: in Italia conviene sul serio appiccicarsi addosso un’etichetta politica?
A proposito delle onde alte di Dargen, mi viene in mente che il giornalista Francesco Maselli ha definito l’Italia come il Paese che “ha paura del mare”: un timore che abbraccia molteplici fronti, storici e culturali, ma coinvolge anche la miopia dei leader politici. E secondo me tocca anche la percezione del nostro Paese nel mondo, la gestione dell’immigrazione o le strategie diplomatiche.
Che ogni atto sia politico, come in molti hanno scritto in queste ore, è vero: ma guardando al nostro Paese, all’immobilismo e all’incompetenza di gran parte dei decision makers, anche sul tema dell’immigrazione, mi viene il dubbio che definire un progetto come “politico” non sia una grande strategia di marketing.
Un libro 📘
Questa settimana il libro non ce l’ho, quindi ho optato per questa foto di Stash che a quanto pare sta bene ovunque.