🟠 La Piccola Teheran israeliana
In un quartiere nel sud di Tel Aviv si rivive la storia dei rapporti tra Israele e Iran, dall'amicizia alla rivalità
Ciao, rieccoci su Borders 🌍
Questa settimana ci occupiamo del Fatto con la F maiuscola di questi giorni, ovvero le tensioni tra Israele e l’Iran.
Lo faremo con la consueta chiave di questa newsletter: ti porterò a Tel Aviv, in viaggio nella comunità israeliana di origini iraniane, per parlare di tradizioni culinarie e di un rinnovato conflitto tra i grandi nemici del Medio Oriente.
Prima di cominciare, un avviso: settimana prossima Borders non uscirà, ci risentiamo a maggio 🔽
La Piccola Teheran israeliana
Nel sud di Tel Aviv c’è il mercato Levinsky, un piccolo gioiello culturale situato nel cuore del quartiere di Florentin, tra i distretti più alla moda della città. La sua combinazione di spezie esotiche e personalità uniche potrebbe catturare chiunque, dicono i viaggiatori.
In pochi isolati, i visitatori possono farsi strada attraverso l'ampia storia culinaria del mercato, assaggiando prodotti come le bourekas, le tortine di sfoglia diventate un classico dello street food locale.
Quando gli immigrati ebrei provenienti dalla Grecia, soprattutto dalla città di Salonicco, cominciarono a stabilirsi nel quartiere di Florentin intorno agli anni Trenta, popolarono queste vie di bancarelle di spezie, promuovendo la cucina balcanica.
Dopo la fondazione dello Stato di Israele, nella seconda metà del Novecento, questa zona vide anche un afflusso di immigrati ebrei provenienti dall’Iran, che portarono i loro sapori, aprendo botteghe e proponendo piatti e prodotti di influenza persiana.
Oggi in queste strade i visitatori possono trovare un mercato affollato, pieno di panetterie, ristoranti e negozi che vendono dalla frutta secca agli articoli per la casa.
Sulle pareti di alcuni ristoranti campeggiano le foto sbiancate dell’ultimo scià iraniano e di sua moglie, o immagini che raffigurano il leone solare, un simbolo della cultura persiana. Il loro menù offre specialità della cucina iraniana come il Ghormeh sabzi, uno stufato di erbe, e il Jujeh kabab, un piatto della tradizione persiana a base di pollo grigliato.
In queste zone, l’aria di Teheran si confonde con quella di Tel Aviv. Alcuni la chiamano Little Persia, un po’ sulla scia della nostra Little Italy, riconoscendo uno status di comunità a chi è immigrato in Israele nel secolo scorso e sottolineando il paradosso di un quartiere che unisce due Paesi ora nemici.
Secondo le stime, in tutto il Paese la comunità di iraniani ebrei, identificati come Mizrahim, ammonta a 250mila persone, comprese le seconde e terze generazioni. Tra questi c’è anche la cantante pop Rita Yahan-Farouz, che ha contribuito a celebrare il patrimonio culturale persiano con la sua musica.
Altri importanti esponenti di questo gruppo sociale hanno intrapreso la carriera politica o militare: in generale, la maggioranza di loro è sempre stata vicina ai partiti di destra, tra cui il Likud dell’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu. Lo stesso Netanyahu a cui piace ripetere che Israele si trova di fronte a tre minacce esistenziali: «Iran, Iran e Iran».
Un paradosso piuttosto evidente, che ricorda però quanto siano complessi e delicati gli equilibri del melting pot israeliano, in cui i vari background culturali si contaminano e si riscrivono a vicenda giorno dopo giorno.
In un certo senso, la storia di questa comunità ricalca le montagne russe del rapporto tra Israele e Iran, che fino alla rivoluzione del 1979 è stato di grande cordialità; dopo la caduta dello scià, invece, le tensioni sono state molto forti, fino allo scontro frontale di oggi.
Escalation controllata
La presenza di una comunità di origini iraniane in Israele ci aiuta capire quanto siano intrecciate le vicende di questi Paesi, restituendoci un’immagine dai contorni più sfumati rispetto alle narrazioni bianco o nero delle cronache geopolitiche.
Di sicuro però oggi i due Paesi sono rivali: sabato scorso, l'Iran ha effettuato un attacco diretto sul territorio di Israele, come risposta al raid israeliano sul consolato iraniano in Siria di inizio aprile. Ieri, Israele ha replicato con un attacco a una base aerea iraniana.
Questi attacchi sono stati una dimostrazione di forza senza precedenti e per la prima volta nella storia hanno portato a uno scontro diretto tra i due Paesi.
Si tratta perlopiù di raid aerei, dato che Israele e Iran non sono confinanti: Giordania, Iraq e Siria separano i loro territori, un elemento che potrebbe avere grosse implicazioni in caso di confronto diretto. La conformazione geografica dell’Iran, inoltre, sconsiglia in ogni caso molte tipologie di operazioni militari.
Sebbene Teheran abbia annunciato il suo attacco in anticipo, con la maggior parte dei droni e dei missili intercettati in volo, queste azioni hanno cambiato le carte in tavola segnalando un rischio molto più elevato di escalation in futuro.
La dimostrazione di forza è stata anche questa, da entrambe le parti: uno spettacolo coreografato e progettato per dare una risposta senza causare effettivamente danni.
Da anni ormai Iran e Israele portano avanti una guerra ombra, come la chiamano gli esperti, e ciascuna delle due parti ha messo in campo metodi occulti e asimmetrici per indebolire l'altra.
Dallo scoppio della guerra a Gaza, però, la situazione è cambiata. Gli attacchi aerei israeliani alle basi iraniane in Siria e gli omicidi di importanti figure militari hanno imposto all'Iran di rispondere, poiché l'inattività di Teheran rischiava di indebolire la sua deterrenza e di minare la sua credibilità presso gli alleati nella regione, ovvero le milizie filo-iraniane sparse tra Yemen, Iraq, Libano e Siria.
Secondo alcuni, come Ali Vaez su Foreign Affairs, l’Iran potrebbe essere costretto ad abbandonare la sua «pazienza strategica», ovvero l’idea di assorbire il colpo, evitando conflitti di ampia scala con Israele e gli Stati Uniti.
Considerando che uno scontro aperto potrebbe causare danni enormi alla posizione iraniana nella regione, Teheran finora ha deciso di esercitare pressione su Israele attraverso la sua rete regionale dell'Asse della Resistenza, scambiando colpi tramite i gruppi militanti affiliati alla sua bandiera ed evitando escalation dirette.
A poche ore dalla contro-risposta israeliana, l’impressione è che la faccenda per ora potrebbe non avere un seguito e che entrambe le parti abbiano interesse a chiudere qui la cosa.
Il leader israeliano Netanyahu potrebbe essere riuscito a sfruttare questo momento per ravvivare il sostegno degli Stati Uniti, che stava pericolosamente vacillando negli ultimi mesi: secondo alcuni potrebbe riuscire a strappare l’ok di Washington all’operazione militare più controversa dall’inizio della guerra a Gaza, quella nell’area di Rafah.
Allo stesso tempo, l’attacco iraniano, anche per la sua portata (centinaia tra droni e missili) ha fatto in modo che Teheran potesse proiettare la sua posizione di potenza mediorientale, una leadership regionale a cui tiene parecchio.
Entrambe le parti sembrano soddisfatte e la risposta dai toni morbidi del governo iraniano agli attacchi israeliani di ieri è stato un chiaro tentativo di evitare l'escalation. La crisi delle ultime due settimane potrebbe essere in gran parte passata, ma a lungo termine rimane comunque una situazione estremamente pericolosa.