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Puntata molto attesa questa settimana, perché è il giorno dell’Eurovision, probabilmente uno degli eventi che sintetizza meglio l’approccio di questa newsletter: il suo palco ha sempre creato connessioni tra la cultura pop e la politica.
La storia europea è in fondo la storia dell’Eurovision: dalla nascita dell’Ue alla caduta del Muro, fino al conflitto in Ucraina, i grandi eventi storici hanno sempre trovato posto in questa manifestazione, nata durante la Guerra fredda. Anche quest’anno la politica ha preso il sopravvento, in particolare per quanto riguarda la presenza di Israele.
Partiamo quindi per un viaggio nella storia che ci porterà fino alla città svedese di Malmo, dove si tiene l’Eurovision quest’anno 🔽
Eurotension
Alle 22.55 del 24 aprile 1974, in Portogallo la radio Emissores Associados de Lisboas trasmetteva la canzone portoghese in gara all'Eurovision di quell'anno, mentre i soldati scendevano in strada.
Il brano di Paulo de Carvalho, E Depois do Adeus, era il segnale concordato per dare inizio a un colpo di stato armato e far insorgere i militari contro la dittatura. I cittadini accorsero in massa e la resistenza fu così scarsa che i fiori furono messi nelle canne dei fucili, simbolo di quella è diventata la Rivoluzione dei Garofani.
L’enorme impatto dell’Eurovision sta tutto qui: una manifestazione in grado di unire pop e politica, radunando tutti gli spettatori europei in un solo momento, a dispetto delle singole culture di ciascun paese. Non è un caso che il suo motto sia «uniti dalla musica».
Molti Paesi hanno utilizzato questa piattaforma come uno strumento politico sorprendentemente efficace, reinventandosi agli occhi del mondo.
Già dalla prima edizione del 1956, l’esordio della Germania Ovest fu un chiaro tentativo di prendere le distanze dal suo passato nazista, con un sopravvissuto all’Olocausto come protagonista. Nel 1964, la partecipazione di Portogallo e Spagna - nonostante fossero due regimi dittatoriali - vide scoppiare delle proteste a metà gara.
Cinque anni dopo, il tentativo del generale Franco di usare l'ospitalità spagnola all'Eurovision per migliorare l’immagine della sua leadership lo portò a reclutare Salvador Dalí per promuovere la manifestazione, un content creator d’altri tempi.
Oppure, dopo l'invasione di Cipro da parte della Turchia, la Grecia reagì proprio all'Eurovision, utilizzando la propria voce del 1976 per denunciare l’occupazione turca e inducendo Ankara a boicottare il concorso.
Anche se il caso più recente è ovviamente l’esclusione della Russia nel 2022, seguita dalla vittoria del gruppo ucraino Kalush Orchestra nello stesso anno.
Non credo che l’Europa potesse mandare un messaggio politico più chiaro di così in quella occasione: è inutile per l'Unione europea di radiodiffusione (Uer), che gestisce la manifestazione, ricordarci oggi che la politica è una cosa separata rispetto all’Eurovision, perché non è così.
Le polemiche di oggi
Ovviamente, l’edizione del 2024 dell’Eurovision non poteva che concentrarsi sulla presenza israeliana e sul conflitto a Gaza. Le tensioni in verità non si sono accese solo alla vigilia della rassegna, ma vanno avanti già da qualche mese.
October Rain, la canzone israeliana in gara interpretata da Eden Golan, presentava dei chiari riferimenti al conflitto con Hamas. I versi del brano includevano passaggi come «Non c'è più aria da respirare» ed «Erano tutti bravi bambini, ognuno di loro», parlando degli attacchi di Hamas del 7 ottobre. La canzone faceva anche riferimento ai «fiori», un codice militare per indicare le vittime di guerra.
L’Uer ha quindi chiesto di rivedere questa proposta musicale, ma Israele inizialmente si è rifiutato di correggere la canzone, minacciando addirittura di ritirarsi dalla competizione.
Soltanto dopo l'intervento del presidente israeliano Isaac Herzog October Rain si è trasformata in quella che ora è una ballata romantica intitolata Hurricane. Questo non ha impedito comunque che Eden Golan fosse accolta dai fischi a Malmo.
Oltre alle polemiche sul brano ci sono quelle dirette al governo israeliano, di chi ha chiesto di escludere Israele dalla manifestazione per la sua condotta di guerra, proprio come fatto con la Russia. Migliaia di manifestanti pro-Palestina hanno marciato a Malmo giovedì, poche ore prima che Golan si esibisse in semifinale.
Su alcuni balconi della città svedese sventolano le bandiere palestinesi, anche se sono state vietate all’Eurovision. Nella prima semifinale, l’artista svedese Eric Saade è riuscito a fare una dichiarazione politica, cantando con una kefiah palestinese legata al polso, ma è stato prontamente ripreso dalle autorità.
Il concorrente irlandese Bambie Thug ha invece dichiarato ai giornalisti di aver ricevuto l’ordine di rimuovere tutto ciò che fosse politico prima della performance in semifinale. Il suo outfit originariamente includeva un'antica scrittura celtica, che avrebbe incluso le parole «cessate il fuoco» e «libertà per la Palestina».
Oltre mille artisti svedesi hanno firmato una lettera chiedendo la squalifica di Israele per la sua «guerra brutale a Gaza»: una richiesta che è arrivata anche in altri Paesi, dall’Islanda alla Finlandia.
L'Eurovision è solo l'ultimo evento culturale che si trova al centro delle controversie per l'inclusione di Israele, con simili richieste di boicottaggio alla Biennale di Venezia e scontri in altri eventi cinematografici e artistici in Europa.
Sul palco dell’Eurovision, però, queste istanze trovano un significato e uno spazio diverso, proprio per la sua storia politica, mentre in contemporanea le forze israeliane si preparano all’assalto finale a Gaza, nell’area meridionale di Rafah.
Per approfondire:
Il Washington Post ci ricorda che l’Eurovision è sempre stato un luogo di esibizione politica;
Le proteste e l'aumento della minaccia terroristica comportano una stretta sulla sicurezza all’evento;
Il messaggio di unità dell'Eurovision è messo alla prova dal contraccolpo su Israele.