🟠 Da Hollywood a Pechino
Shogun e Il problema dei tre corpi sono le serie tv del momento, alla ricerca di un equilibrio culturale e politico tra Oriente e Occidente
Ciao, rieccoci su Borders 🌍
Oggi parliamo di serie tv e lo facciamo con due pesi massimi di cui si sta parlando molto in questo periodo, entrambi di ispirazione orientale: Shogun e Il problema dei tre corpi.
La loro uscita ci offre l’opportunità di fare una riflessione a tutto tondo sulle rappresentazioni dei Paesi asiatici, per capire anche cosa ci abbiano detto queste serie sul potere culturale di Stati Uniti e Cina.
Niente spoiler, promesso. Cominciamo 🔽
Da Hollywood a Pechino
È interessante notare come le serie di cui si sta parlando di più in queste settimane siano Shogun e Il problema dei tre corpi. Lo è per varie motivazioni, non ultimo il fatto che entrambe sono delle produzioni occidentali di storie fortemente radicate in Asia.
Shogun era una delle serie più attese dell'anno e si sta dimostrando all'altezza della situazione, scomodando paragoni pesanti come Game of Thrones. È stata realizzata da FX (in Italia è disponibile su Disney+) sulla base dell’omonimo romanzo del 1975 di James Clavell.
Le pagine di Clavell e le scene della serie raccontano il Giappone feudale e l’accoglienza riservata al navigatore inglese John Blackthorne, che raggiunge il Paese su una nave commerciale nel 1600 e si imbatte in Lord Toranaga, un uomo astuto e potente, in contrasto con i suoi pericolosi rivali politici.
Anche Il problema dei tre corpi ha qualcosa in comune con Il Trono di Spade: gli sceneggiatori, David Benioff e D. B. Weiss. Creata con Alexander Woo, la nuova serie Netflix in otto episodi rivisita i popolarissimi e pluripremiati romanzi di Liu Cixin e trasforma gli aspetti della sua trilogia in un dramma fantascientifico.
Il titolo fa riferimento a una delle questioni più note e discusse della meccanica celeste, la disciplina che studia il movimento di pianeti, satelliti, asteroidi e altri corpi con un approccio fisico-matematico.
Gli otto episodi sono fatti di salti avanti e indietro nel tempo per esplorare come una decisione presa nella Cina degli anni Sessanta riecheggi attraverso i decenni, per avere poi un impatto nel presente su un gruppo di scienziati e sull'umanità nel suo complesso.
Autenticità e sincerità
In generale, ho trovato Shogun una produzione di altissimo livello, con un’attenzione per il dettaglio estrema, ben scritta e congegnata; soprattutto, si percepisce lo sforzo di preservare i dettagli dell’epoca e l'autenticità linguistica, offrendo una ricostruzione scevra da quella specie di paternalismo occidentale.
A differenza della precedente edizione del 1980, questa versione di Shogun ha infatti messo al centro della scena attori e scrittori giapponesi, e lo ha fatto con una straordinaria attenzione all'autenticità, a partire dalla riproduzione del parlato, che è reso in uno stile squisitamente formale risalente a quattrocento anni fa.
Il personaggio dell’occidentale Blackthorne, ad esempio, in fin dei conti sembra piuttosto trascurabile e nell’atmosfera della serie è il Giappone a prendere il sopravvento: la Bbc ha scritto che la nuova edizione di Shogun «porta in primo piano un contesto storico ancora più vivido, offrendo una ricca rappresentazione del Giappone feudale in tutta la sua terrificante gloria».
Il problema dei tre corpi è abbastanza simile in questo approccio e basta guardare le prime scene per capirlo, ambientate al tempo della Rivoluzione culturale cinese. La parte iniziale ritrae la censura del governo nei confronti di un fisico il cui lavoro teorico non è conforme al pensiero maoista ed è stata interamente girata in cinese.
Anche la ricostruzione del mandarino e dei dialoghi è stata giudicata dagli esperti in modo positivo e ha incorporato correttamente alcuni chengyu, i modi di dire cinesi.
C’è da sottolineare però come la produzione Netflix non mantenga del tutto la promessa, scegliendo di ambientare gran parte della storia in Inghilterra e di raccontarla con un cast parecchio occidentale, divergendo in maniera significativa dalle opere di Liu Cixin, con tanto di accuse di whitewashing.
Tra Oriente e Occidente
L’uscita di Shogun e Il problema dei tre corpi nello stesso periodo ha fatto emergere una domanda interessante: come possiamo interpretare queste produzioni nel contesto delle relazioni degli Stati Uniti con Cina e Giappone?
Il giornalista americano Howard W. French su Foreign Policy ha ipotizzato che queste serie possano legittimare ulteriormente l’egemonia culturale americana, che avrebbe fatto un passo in avanti ritraendo in modo più sincero il contesto asiatico, e quindi conquistando nuove fette di pubblico anche al di fuori della tradizionale sfera d’influenza occidentale.
Mentre altre epopee come Il Trono di Spade e Il Signore degli Anelli si sono affidate ad ambientazioni fittizie e fantastiche, Shogun «suggerisce che, invece di inventare altri mondi per i suoi grandi colpi, Hollywood dovrebbe forse guardare più da vicino al nostro», ha osservato Variety.
Dall’altro lato, in molti pensano l’opposto: il protagonismo della Cina nel Problema dei tre corpi potrebbe invece indicare che Pechino possa finalmente aver trovato un posto in prima fila nella cultura mainstream occidentale, un obiettivo che finora non era mai stato raggiunto.
Oppure, il presunto whitewashing del Problema dei tre corpi potrebbe essere invece l’ennesimo segno di «supremazia culturale» dell’Occidente sulla Cina. Cindy Yu, conduttrice del podcast Chinese Whispers, si è soffermata esattamente su questo aspetto: la serie Netflix può essere considerata una vera esportazione culturale cinese o è solo un blockbuster americano?
La risposta è stata piuttosto caustica: Yu ha paragonato la serie al cibo cinese da asporto che viene offerto in Occidente, «una pallida imitazione di quello che si trova in Cina».
Queste valutazioni rientrano nell’ambito del soft power, il concetto che raccoglie tutti gli strumenti con cui un Paese crea consenso in modo persuasivo, come la sua cultura, il suo stile di vita o i suoi valori.
Ovviamente nella realizzazione di una serie ci sono migliaia di fattori in ballo e non possiamo ridurre tutto a mera diplomazia, ma in questi giorni mi sono chiesto se sia davvero un caso che il ritratto americano del Giappone sia molto preciso, mentre quello cinese sia più problematico.
Eppure la fonte di Shogun è il libro di un uomo australiano di nascita e americano di formazione, mentre Il problema dei tre corpi arriva proprio da un autore cinese.
La suggestione che ho scelto come risposta segue un parallelo politico: Shogun sembra una rappresentazione riuscita della sinergia tra cultura nipponica e industria americana, così come Stati Uniti e Giappone oggi condividono un rapporto di piena alleanza e in questi giorni hanno presentato piani per «consentire una perfetta integrazione» delle operazioni militari, in funzione anti-cinese.
Sull’altro versante, le tensioni tra Cina e Stati Uniti si sono riversate anche nella ricezione del Problema dei tre corpi, con molti nazionalisti cinesi che hanno accusato a gran voce Netflix e gli Stati Uniti per la loro interpretazione delle opere di Liu Cixin, sia per la scarsa attenzione alla componente cinese della storia sia per aver ritratto in maniera piuttosto cruenta l’epoca maoista.
Questa incomunicabilità tra Pechino e Washington si potrebbe osservare anche nelle attuali relazioni tra il presidente americano Joe Biden e il leader cinese Xi Jinping, che si confrontano ormai da tempo sul futuro politico di Taiwan, il potenziale ban di TikTok o la competizione industriale. Forse queste serie potrebbero davvero riflettere la realtà politica.
Per approfondire:
Questa volta l'uomo bianco è solo una delle stelle di Shogun, scrive il New York Times;
L'instabile avvicinamento tra Biden e Xi, su The Diplomat;
Un tempo nemici, Giappone e Stati Uniti rafforzano la loro alleanza.
Ciao grazie per gli spunti interessanti. Da lavoratore del cinema e cinefilo ti dico che se un’opera audiovisiva è capace di suscitare tutte queste riflessioni è un’opera più che riuscita.
Ti leggerò con piacere. Buona giornata !